La menzione di Marinetti nell’Atlantic non è solo un aneddoto storico, ma un promemoria di come le ideologie del passato possano informare e plasmare quelle del presente.
Vorrei condividere con voi un’inattesa menzione di Filippo Tommaso Marinetti in un articolo dell’Atlantic sulla tecnocrazia. L’articolo ci lascia con solo le iniziali del suo nome, ma la presenza di questo poeta ed editore si fa sentire in contesti piuttosto inaspettati. Chi è Marinetti? Filippo Tommaso Marinetti (1876-1944) fu il fondatore del movimento futurista italiano.
L’articolo in questione, intitolato “The Despots of Silicon Valley”, scritto da Adrienne LaFrance e pubblicato nell’edizione di marzo 2024 dell’Atlantic, disseziona l’ideologia politica che sta prendendo piede nella Silicon Valley, rivelando come, dietro una facciata di progresso e innovazione, si nasconda un movimento che inclina pericolosamente verso l’autoritarismo.
Marinetti viene citato nel contesto di un paragone tra la tecnocrazia della Silicon Valley e il futurismo italiano. Con massime come “Marciare non marcire” il futurismo, già un secolo fa, condivideva con la tecnocrazia l’etos dell’azione come valore in sé.
Marinetti promosse un rifiuto radicale della tradizione e della storia, un’ideologia che trova eco nella Silicon Valley di oggi. Questa connessione tra i tecnocrati moderni e i futuristi del primo Novecento rivela un filo rosso che lega l’innovazione ossessiva al disprezzo per le convenzioni. Entrambi i gruppi celebrano il progresso tecnologico come un bene incondizionato, con una spinta costante verso il futuro che trascura le potenziali conseguenze etiche o sociali.
Mentre Marinetti esaltava la velocità, la tecnologia e il rifiuto del passato per forgiare un futuro dominato dall’Italia futurista, oggi alcuni tecnocrati sognano di plasmare il futuro secondo la loro visione, senza considerazione per il benessere collettivo o per i principi democratici.
L’articolo mette in luce come alcune delle menti più influenti della tecnologia di oggi, come Marc Andreessen, co-fondatore di Netscape, si identificano con questo retaggio futurista, promuovendo un avanzamento tecnologico incessante e incontrollato. Andreessen, per esempio, cita Marinetti come uno dei “santi patroni” del suo movimento, ribadendo l’idea di Marinetti che “[n]on v’è più bellezza, se non nella lotta” e che la tecnologia (Marinetti scrisse “poesia”) “deve essere concepita come un violento assalto contro le forze ignote, per indurle a prostrarsi davanti all’uomo”.
La menzione di Marinetti in questo contesto solleva interrogativi profondi sull’eredità culturale che influisce sulle ideologie moderne. Come ci ricorda LaFrance, le idee radicali di Marinetti non hanno solo ispirato movimenti artistici e letterari, ma hanno anche avuto implicazioni politiche oscure. Ezra Pound, poeta e amico di Marinetti, ha contribuito a diffondere l’ideologia futurista, esaltando la modernità e la distruzione delle strutture tradizionali. Come sappiamo, ha abbracciato anche il fascismo.
Il legame tra futuristi e tecnocrati odierni mostra come la fascinazione per il “nuovo” e la “velocità” possa trasformarsi in un’ideologia che privilegia l’innovazione tecnologica a scapito della riflessione critica e del benessere collettivo. Questo richiamo storico serve come monito: l’innovazione per l’innovazione stessa può portare a conseguenze non intenzionali e pericolose, soprattutto quando viene perseguita senza un’adeguata riflessione sui suoi effetti sulla società.
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